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Tumori uroteliali dell'alta via escretrice

INTRODUZIONE

I tumori uroteliali di uretere o cavità calicopieliche, strutture anatomiche appartenenti all’alta via escretrice, sono neoplasie che spesso progrediscono senza mostrare evidenti segni o sintomi, ma che, se non diagnosticati precocemente, possono avere una prognosi sfavorevole. Oggigiorno è possibile proporre al paziente con malattia non in fase avanzata procedure chirurgiche conservative (volte al risparmio della funzionalità renale) o, laddove non vi sia alternativa, trattamenti radicali a minore invasività, come la nefroureterectomia robot-assistita.

 

EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO

La frequenza dei tumori uroteliali dell’alta via escretrice è relativamente bassa: appartengono alla stessa famiglia delle neoplasie vescicali ma costituiscono solo il 5-10% di tutti i carcinomi uroteliali. Hanno un’incidenza annuale nei Paesi industrializzati di circa 2 casi ogni 100.000 abitanti, e si presentano soprattutto in pazienti al di sopra dei 70 anni di età con una prevalenza del sesso maschile su quello femminile.

Fattori di rischio per lo sviluppo di tali neoplasie sono sicuramente fumo, attività lavorative a contatto con vernici e pellami, frequenti infezioni delle vie urinarie, ereditarietà genetica, ma soprattutto una storia di tumori vescicali. Tuttavia, mentre pazienti con tumore vescicale hanno una probabilità non elevata di sviluppare tumore dell’alta via escretrice, coloro che presentano una storia di neoplasie dell’alta via hanno un rischio aumentato di insorgenza di carcinoma vescicale, che può comparire nello stesso momento (presentazione “sincrona”) o in tempi diversi (presentazione “metacrona”).

 

SEGNI E SINTOMI

A dispetto del loro elevato potenziale di aggressività (nel 60% dei casi il tumore è già in forma invasiva al momento della diagnosi), tipicamente il riscontro di neoplasia dell’alta via escretrice è incidentale, ovvero avviene in corso di controlli o accertamenti per altre patologie. Nel caso di pazienti sintomatici, invece, la presentazione più frequente è costituita dalla presenza di sangue nelle urine (micro o macroematuria), da dolore al fianco (anche di tipo colico) e/o dal riscontro di una massa addominale palpabile. La presenza di febbre, mancanza di forze (astenia), calo ponderale, tosse, sudorazioni notturne profuse è il più delle volte associata a patologia in stadio avanzato.

 

DIAGNOSI

- L’ecografia addominale, nonostante sia un esame scarsamente sensibile, è spesso la metodica che può porre un primo sospetto di neoplasia dell’alta via escretrice. La raccolta della storia clinica del paziente (anamnesi) e un accurato esame obiettivo sono indispensabili per inquadrare a 360° la problematica del paziente. Anche l’esecuzione di citologie urinarie su 3 campioni può essere elemento utile per ricercare nelle urine la presenza di cellule neoplastiche, elemento spesso suggestivo di neoplasie ad elevata aggressività.

- La TAC addome con mezzo di contrasto e pose urografiche tardive è considerato l’esame fondamentale per localizzare la neoplasia e per “stadiarla”, ovvero per comprendere se infiltra strutture adiacenti o se presenta localizzazioni secondarie a carico di linfonodi o altri organi. La risonanza magnetica (RMN) con mezzo di contrasto rappresenta una valida alternativa per coloro che non possono essere sottoposti a TAC.

- Esami endoscopici come cistoscopia (per escludere la presenza di tumori vescicali) e ureterorenoscopia con strumento semirigido o flessibile (per visualizzare la neoplasia ed eseguire eventuali prelievi bioptici o citologie urinarie selettive in corrispondenza della massa) sono fortemente raccomandati in previsione di intervento chirurgico.

 

PROGNOSI

Fattori che influenzano la prognosi sono costituiti da caratteristiche della neoplasia (grado, numero delle lesioni, localizzazione...), del paziente (fumo, età avanzata, sintomatologia sistemica) e della tempistica in cui viene intrapreso il trattamento (minore è la sopravvivenza se la chirurgia viene ritardata di più di 3 mesi).

Infausta è la prognosi dei tumori dell’alta via escretrice che presentano infiltrazione della tonaca muscolare: il tasso di sopravvivenza a 5 anni è compreso tra il 10 e il 50%.

 

CHIRURGIA E FOLLOW UP

1. Trattamenti chirurgici conservativi

- Ureterorenoscopia endoscopica

Questo tipo di intervento, già menzionato tra le tecniche diagnostiche, permette in casi selezionati (tumori di basso grado, tumori di piccole dimensioni, tumori bilaterali, pazienti monorene, pazienti con insufficienza renale cronica) di rimuovere o di vaporizzare le lesioni senza danneggiare i tessuti sani.

- Ureterectomia distale con reimpianto ureterale

In caso di tumori localizzati nella porzione terminale dell’uretere (ovvero quella immediatamente precedente al suo sbocco in vescica), può essere possibile rimuovere chirurgicamente, per via open (a cielo aperto) o laparoscopica/robotica, solo un piccolo tratto interessato dalla neoplasia. Il moncone dell’uretere viene quindi suturato a livello della cupola della vescica per ripristinare la continuità della via escretrice. Sebbene l’intervento sia conservativo, tali pazienti presentano comunque un elevato rischio di recidiva tumorale e devono essere pertanto sottoposti ad un rigido schema di follow up.

 

2. Nefroureterectomia radicale

La nefroureterectomia radicale, ovvero l’asportazione integrale del rene, della capsula adiposa che lo circonda, dell’uretere e di una piccola porzione di parete vescicale che comprende lo sbocco dell’uretere in vescica (papilla) è la terapia chirurgica di prima scelta laddove non sia possibile effettuare un trattamento conservativo.  Lo scopo di tale intervento consiste nell’eliminazione completa della malattia tumorale, poiché questa ha la tendenza a recidivare con un andamento cranio-caudale

L’approccio chirurgico “a cielo aperto” è stato tradizionalmente il più utilizzato, ma oggi risulta limitato in favore delle tecniche mininvasive, nello specifico la laparoscopia tradizionale o robot-assistita. Nel caso della nefroureterectomia robotica, il paziente, a seguito dell’anestesia, viene posizionato sul lettino operatorio sul fianco opposto rispetto agli organi interessati dal tumore. Si eseguono 6 incisioni sull’addome del paziente per poter consentire il posizionamento degli strumenti robotici e laparoscopici, manovrati dal chirurgo e dal suo assistente sul campo operatorio. Dopo aver “gonfiato” la cavità addominale mediante l’insufflazione di CO2, si procede all’isolamento di rene (e del tessuto adiposo che lo circonda) ed uretere interessati dal tumore, e dei vasi che irrorano tali organi. Per mezzo della visione tridimensionale e dei micromovimenti degli strumenti robotici, che consentono una massima accuratezza e un minor rischio di lesionare le strutture nobili circostanti, si chiudono e si sezionano i vasi renali arteriosi e venosi, e successivamente l’uretere. Spesso, per poter rimuovere integralmente l’uretere, soprattutto in caso di tumori localizzati nel suo tratto terminale, si asporta anche una piccola porzione di vescica attorno al meato ureterale (la cosiddetta “pastiglia vescicale”), suturando poi il lembo di vescica precedentemente inciso. I pezzi operatori vengono infine estratti dall’addome del paziente ed inviati ad esame istologico definitivo.

L’approccio robotico, oltre a presentare i suddetti vantaggi in corso di intervento, garantisce anche una più rapida ripresa del paziente, diminuendo drasticamente i tempi di degenza post-operatoria.

 

CHEMIOTERAPIA

La chemioterapia ha un ruolo sia nel caso di malattia localizzata non metastatica, sia nella malattia metastatica. Le decisioni terapeutiche in tale ambito prevedono una collaborazione tra urologo e specialista oncologo, per impostare un percorso di trattamento multidisciplinare.86

Nel caso di pazienti con malattia metastatica, l’uso di chemioterapici a base di cisplatino, eventualmente associati ad altri agenti come gemcitabina o metotrexate, rappresenta la prima scelta terapeutica. In questo contesto, la chirurgia ha un ruolo marginale e riservato solo a pazienti strettamente selezionati (o a scopo palliativo).

L’utilizzo di chemioterapia nei casi di malattia non metastatica può essere proposto come trattamento precedente rispetto alla chirurgia radicale (chemioterapia neoadiuvante), per diminuire il rischio di recidiva e di mortalità, o successivo (chemioterapia adiuvante), soprattutto in caso di neoplasie infiltranti tonaca muscolare o linfonodi. Inoltre, è stato dimostrato che una singola instillazione endovescicale di farmaci chemioterapici (mitomicina o epirubicina) riduce il rischio di comparsa di carcinoma vescicale a seguito di nefroureterectomia radicale.

  • Nefroureterectomia robotica

La nefroureterectomia radicale consiste nell’asportazione integrale del rene, della capsula adiposa che lo circonda, dell’uretere e di una piccola porzione di parete vescicale che comprende lo sbocco dell’uretere in vescica (papilla). Nel caso dell’approccio robotico, il paziente, a seguito dell’anestesia, viene posizionato sul lettino operatorio sul fianco opposto rispetto agli organi interessati dal tumore. Si eseguono 6 incisioni sull’addome del paziente per poter consentire il posizionamento degli strumenti robotici e laparoscopici, manovrati dal chirurgo e dal suo assistente sul campo operatorio. Dopo aver “gonfiato” la cavità addominale mediante l’insufflazione di CO2, si procede all’isolamento del rene, del tessuto adiposo che lo circonda e dell’uretere interessati dal tumore, nonché dei vasi che irrorano tali organi. Per mezzo della visione tridimensionale e dei micromovimenti degli strumenti robotici, che consentono una massima accuratezza e un minor rischio di lesionare le strutture nobili circostanti, si chiudono e si sezionano i vasi renali arteriosi e venosi, e successivamente l’uretere. Spesso, per poter rimuovere integralmente l’uretere, soprattutto in caso di tumori localizzati nel suo tratto terminale, si asporta anche una piccola porzione di vescica attorno al meato ureterale (la cosiddetta “pastiglia vescicale”), suturando poi il lembo di vescica precedentemente inciso. I pezzi operatori vengono infine estratti dall’addome del paziente ed inviati ad esame istologico definitivo.

Il paziente, di norma, esce dalla sala operatoria con un drenaggio addominale e un catetere vescicale, che vengono rimossi nelle giornate successive all’intervento chirurgico.

L’approccio robotico, oltre a presentare i suddetti vantaggi in corso di intervento, garantisce anche una più rapida ripresa del paziente, diminuendo drasticamente i tempi di degenza post-operatoria.