L’intervento chirurgico di “pieloplastica robotica” è ritenuto l’opzione terapeutica più appropriata per la maggior parte dei pazienti affetti da stenosi del giunto cielo-ureterale
L’intervento viene sempre eseguito in anestesia generale. Il paziente, dopo essere stato anestetizzato, viene posizionato sul letto operatorio in posizione di decubito laterale. Si procede ad eseguire a livello addominale 4-6 piccole incisioni, attraverso le quali vengono inseriti gli strumenti robotici e laparoscopici. Dopo aver insufflato CO2 all’interno della cavità peritoneale del paziente (induzione di “pneumoperitoneo”) e aver creato una “camera” che consenta all’operatore di visualizzare gli organi addominali e lavorare su di essi, si va ad identificare l’uretere affetto dal difetto. Si procede ad isolare l’uretere stesso, risalendo sino al giunto pielo-ureterale. Una volta identificata la causa del difetto, si procede alla sua correzione.
In caso di presenza di un breve tratto di calibro ridotto (stenosi) a livello del giunto, si procede alla sua sezione ed asportazione, nonché al suo invio ad esame istologico definitivo. La porzione di “tubo” a monte (cioè la pelvi renale) e quella a valle (l’uretere) vengono poi suturate tra loro, ripristinando la normale conduzione dell’urina all’interno di un passaggio più ampio. Nel caso in cui, invece, sia presente un vaso anomalo che comprime il giunto pielo-ureterale, si procede con la sezione dell’uretere in corrispondenza del giunto, e con la sua successiva ricostruzione, dopo aver posizionato il vaso dietro alla pelvi. In entrambi i casi, prima di procedere alla sutura, si inserisce nella maggior parte dei casi un catetere ureterale (detto stent “a doppio J”) per proteggere la via escretrice e consentirne una rapida guarigione. L’utilizzo dello stent, oltre ad accelerare i processi di recupero, riduce l’incidenza di stravasi urinari nel punto di riparazione chirurgica e della creazione di possibili reazioni fibrotiche (cicatrizzazione esuberante). Generalmente, lo stent viene poi rimosso in regime ambulatoriale dopo circa 4 settimane.
Il paziente, di norma, esce dalla sala operatoria con un drenaggio addominale e un catetere vescicale, che vengono rimossi nelle giornate successive all’intervento chirurgico.
L’approccio laparoscopico, oggi sempre più diffuso, riproduce fedelmente gli stessi passaggi dell’intervento eseguito a cielo aperto, con medesimi risultati, ma con il vantaggio di una riduzione dell’invasività dell’intervento chirurgico. Inoltre, la diffusione della tecnologia robotica consente gesti chirurgici ancora più precisi grazie ai micro-movimenti degli strumenti e alla visione tridimensionale, creando ulteriori vantaggi sia per il chirurgo che per il paziente.