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Il bisturi più abile per la prostata

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Il punto sulle varie strategie dell'intervento. Anche in Italia si diffonde l'uso del robot

http://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/10_febbraio_28/bisturi-giusto-prostata_f4b482ca-2422-11df-826d-00144f02aabe.shtml MILANO - Quale bisturi dà risultati migliori nel tumore della prostata, quello tradizionale, l'endoscopico o il robotico? La risposta è ancora oggi, un amletico chissà. Se è vero che la chirurgia a cielo aperto appartiene all'era industriale (l'operatore «tocca» organi e strumenti), la laparoscopica ha già un piede nell'era informatica (sul monitor compare l'immagine «elettronica» degli organi), e la robotica ci entra alla grande (le mani inviano soltanto i segnali elettronici che guidano gli strumenti), è altrettanto vero che questo progresso tecnologico non ha portato vantaggi «innegabili», scientificamente dimostrati, per il paziente. Il corpo umano, evidentemente, non è una macchina inceppata, un «oggetto» dove l'avanzamento tecnologico comporta sempre un vantaggio rispetto all'esistente. Gli studi di confronto fra le tre chirurgie sono pochi e imprecisi: difficile dire l'ultima parola, fermo restando che ancora oggi in Italia l'80 per cento degli interventi di asportazione della prostata per patologie tumorali avviene a cielo aperto. PROGETTO ROBOTICA- Ma, intanto, il robot avanza. Proprio in questi giorni la clinica urologica dell'Università di Firenze, grazie allo stanziamento di fondi della Regione Toscana per il «progetto robotica», ha acquisito un robot da Vinci (costo iperbolico: un milione e mezzo di euro la macchina, centomila euro le spese annue di manutenzione) che verrà utilizzato esclusivamente dalle due cliniche urologiche universitarie, presso l'ospedale di Careggi. «Sono convinto che sia un investimento giusto — afferma Marco Carini, direttore della Clinica urologica I — . Vogliamo verificare quanto sembra emergere dagli ultimi studi: con il robot si ridurrebbero al minimo i rischi di incontinenza e di deficit erettile perché restano completamente indenni i nervi che regolano queste funzioni». Uno dei pochissimi studi da cui emerge un'evidenza chiara in questa direzione è quello pubblicato sul British Journal of Urology da Bernardo Rocco, direttore della scuola di robotica dell'istituto europeo di oncologia (Ieo) e da altri colleghi dell'università di Milano. Studio che ha messo a confronto i risultati ottenuti nel 2007 su 120 pazienti operati con il robot con quelli di un gruppo storico di malati che avevano fatto l'intervento tradizionale. Dimostrando che il ritorno della continenza e dell'erezione sono più precoci e più frequenti con il bisturi ad alta tecnologia (vantaggio che sembra mantenersi intatto ad un anno di distanza). CONTROVERSIE - Ma non basta un lavoro a promuovere una tecnica, quando gli altri studi danno risultati per lo meno incerti. Come ha sottolineato il New York Times pochi giorni fa facendo riferimento ad una delle indagini più importanti sulla questione, pubblicata su Jama, la rivista dell'associazione dei medici americani, nell'autunno scorso da Jim Hu, del Brigham and Women's Hospital di Boston su oltre 8000 interventi. Il risultato? Controverso: il robot sembrerebbe accorciare i tempi di degenza e ridurre il sanguinamento. ma, ahimé, anche provocare un maggior numero di casi di incontinenza e impotenza. Gli esperti di chirurgia robotica (tra questi lo statunitense Vipul Patel che con le sue 3.500 asportazioni della prostata con il da Vinci detiene il record mondiale) sostengono che in quel gran numero di interventi son inclusi operatori con un'esperienza modesta. «La situazione è confusa, — afferma Alberto Roggia, direttore del centro specializzato nella chirurgia della prostata dell'ospedale di Gallarate (Varese) — ma una cosa è certa e forse è giusto ricordarla: sotto il profilo del risultato oncologico tutte e tre le tecniche sono equivalenti. CONFRONTI - Detto questo, mi sembra necessario fare alcune precisazioni: l'intervento per via laparoscopica, quello che ci permette di arrivare con gli strumenti chirurgici alla prostata grazie a forellini di ingresso (noi li chiamiamo «porte») rispetto alla chirurgia aperta ha il vantaggio di ridurre la degenza; è un dato certo, ormai. Ma se non è eseguito da personale esperto allunga, e non poco, il tempo di anestesia. Perché l'ostacolo più grosso con la chirurgia laparoscopica è la sua difficoltà: per arrivare a farla bene, ci vogliono due anni di lavoro duro. La robotica, al contrario, è abbastanza semplice da imparare e ha dalla sua una precisione enorme». «La facilità di apprendimento è il punto di forza della chirurgia robotica — concorda Francesco Rocco, presidente della Società italiana di urologia — . Sta favorendo la formazione di una vasta schiera di chirurghi "mininvasivi" che nel giro di pochi anni saranno in grado di eseguire ottimi interventi. Probabilmente il robot sta realizzando in questo decennio una rivoluzione terapeutica pari a quella che, negli anni Ottanta, fece la macchina per distruggere i calcoli renali». Se sarà vera rivoluzione.... fporciani@corriere.it Franca Porciani 28 febbraio 2010(ultima modifica: 03 marzo 2010)